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giovedì 22 gennaio 2015

I seduta di Horror Therapy-CASE 39

Ieri ho visto un film horror come terapia d’urto pre-addormentamento che sto conducendo da qualche giorno a questa parte.
La teoria alla base di questa terapia si ispira ai principi del comportamentismo: le trame horror si impongono sui miei pensieri altrettanto horror, cosicché i secondi vengono offuscati dai primi. Devo dire che funziona. Ma veniamo al fantastico “Case 39”, recitato da quella che per me resterà sempre Briggi Ggiò, ovverosia René Zella-wagner, la quale, qui, interpreta il ruolo di un'assistente sociale che si occupa di tutelare i minori.
Dovete sapere che in America le assistenti sociali lavorano moltissimo e per tale ragione non hanno una vita sentimentale; la sera tornano nella loro casa da single, si piazzano sul divano con un calice di vino e si guardano le televendite.
Un giorno le viene affidato il caso di una minore per la quale c’è stata una segnalazione scolastica. La bambina si isola, appare tormentata e si addormenta sui banchi. Inizialmente Briggi Ggiò smadonna il capo, a dire che già aveva 38 casi sulla sua scrivania, ma poi si fa intenerire dalla foto della piccola Lilith, apposta sul frontespizio del fascicolo ed accetta. Subito si reca a casa della famiglia sospettata ed incontra i bisbiglianti e stranissimi genitori che appaiono respingenti e minacciosi. La piccola è in un angolo, muta, con la faccia appesa e Briggi Ggiò, ormai catturata dalla sofferenza della bambina prova ad avvicinarla in disparte per farla parlare. La piccola le confida che i suoi genitori sono cattivi e vogliono spedirla al creato. Ecco che Briggì Giò è bella che fritta, cotta a puntino, subito abbandona gli altri 38 casi e si fa assorbire totalmente da questo, lasciando alla bambina il suo numero privato per qualsiasi emergenza. La bambina non se lo fa ripetere due volte e quella stessa notte la chiama in preda al panico per annunciarle che i due mostri stanno per agire. Briggi Ggiò, ormai tutt’uno con'cas' 39, si precipita nella sua auto squadrata, un po’ vintage, allertando un suo amico poliziotto, alle due di notte, perché accorra in suo soccorso presso il domicilio della famiglia. Arrivano e salvano la creatura appena in tempo dalle fiamme del forno dove i due genitori l’avevano chiusa, bloccando il portellone con 10 giri di quello scotch color argento, che si compra dal ferramenta, resistentissimo a tutto. Ora, quello doveva essere un segno, invece Briggi Ggiò, che non si intende di articoli di ferramenta e che in questo film in realtà si chiama Emily, si fa prendere dai sentimentalismi: segue colluttazione con i due genitori, che impugnano qualsiasi arma a disposizione nella cucina, pur di portare a termine la loro missione. I nostri eroi, però, hanno la meglio e i due vengono arrestati, processati e spediti in un carcere di alta sorveglianza. La bimba viene inserita in un centro di cura per bambini traumatizzati, dove lavora come terapeuta di gruppo Braddly Cuppy, il belloccio del film, che ha fatto la sua analisi personale con Massimo Recalcati, pretendente amoroso della nostra Emily dai tempi del liceo e a cui Emily, dai tempi del liceo, dice che non può impegnarsi sentimentalmente perché lavora troppo. Insomma i due sono molto uniti, diciamo pure che Braddly è il suo unico contatto sociale, perché in America le assistenti sociali non hanno contatti sociali, sono emarginate. Briggi/Emily non si fa manco sfiorare, fanno solo aperitivi dopo il lavoro, però lei sa come tenerlo legato, ad un certo punto, durante uno di questi aperitivi gli dice “se un giorno decidessi di avere un storia…..” e non finisce la frase.
Chi di voi non simpatizzerebbe con il parasimpatico Braddly? La piccola Lilith, intanto, si affeziona alla sua salvatrice, anzi diciamo che le si azzecca proprio come un’ azzecca, per l’appunto. Si mette dentro alle orecchie, lamentosa, e fa di tutto per farsi adottare dalla nostra eroina, che rimane inizialmente molto in dubbio tra le serate trascorse a vedere le televendite senza rotture di palle e l’idea di prendersi cura della creatura bisognosa. Poi alla fine accetta perché è buona e ha tanto amore da dare, a tutti, tranne che a Braddly Coopy con cui fa solo aperitivi dopo il lavoro. Il resto del film è un succedersi di eventi spiacevoli, per i quali vince su tutte un’unica e lapidaria conclusione “chi m’ha cecat!!”. La creatura innocente si rivela, infatti, essere un demonio manipolatore con poteri persuasivi mortali e paraOrmonali. Già la vita di Briggi Ggiò/Emily era all’insegna dell’isolamento, ma con l’avvento della creatura nella sua vita, anche quei pochi contatti sociali coltivati fino a quel momento a fatica, vengono eliminati uno ad uno, primo tra tutti Braddly e, secondo tra la folla, l’amico poliziotto. Rimasta sola al mondo e confinata in un clima di terrore per cui è costretta a barricarsi con doppi chiavistelli nella sua stanza da letto - mentre il mostro, si aggira per casa indisturbato, chiedendole in realtà solo di essere amata - Briggi decide di andare a fare visita ai due genitori altamente sorvegliati, pagando una cifra di soldi per il biglietto di andata/ritorno. I due, come la vedono arrivare, le dicono, anche poco gentilmente “hai voluto la bicicletta e mo pedala...noi ce la siamo nzucata per 10 anni e mo tu ti lamenti per qualche mese di orrore, morte e isolamento sociale. Le suggeriscono come unica risoluzione del dramma di eliminare il mostro quando dorme. E qui, Briggi, ne combina una dietro l’altra, perché di fondo non è una tipa violenta e poi in lei regna sovrano l’imperativo del soccorso ai minori. Le viene imposto, dal caso, di capovolgere tutto il suo assetto mentale e non sono proprio cose da niente, sopratuttto per una che la sera si vede le televendite. Non vi dico altro, per lasciarvi un po’ di suspance ed invitarvi a vedere questa aggraziata opera filmica

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